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"The NUV Sucks (no, really)" è il nuovo album dei milanesi The Nuv, che arriva a ben quattro anno dal loro disco di debutto "Top Model Super Fashion", uscito da qualche settimana. Quattro chiacchiere con la band per parlare del disco e non solo...

Lo scorso 22 febbraio è uscito per Moquette Records "The NUV Sucks (no, really)", il secondo album dei milanesi The Nuv, che arriva a ben quattro anni di distanza dal loro album d’esordio "Top Model Super Fashion". Il primo disco ha riscosso un certo successo e ha permesso a Demis Maloy Tripodi (voce e chitarra), Andrea Caristo (batteria), Leonardo Sergun (voce e chitarra) e Dante Brin (basso) di suonare in molti club della penisola italiana, ma soprattutto di annoverare esperienze live in Austria, Germania, Belgio e Usa. E dopo ben quattro anni di stop finalmente il ritorno sulle scene con "The NUV Sucks (no, really)", 11 tracce interamente autoprodotte che raccontano di chimica, Jagermaister e sigarette simpatiche.
Abbiamo chiesto al gruppo, e in particolare a Demis, che ha avuto la pazienza di risponedere alle nostre domande, di parlarci innanzitutto del disco, ma anche del loro percorso come band, delle loro esperienze in Italia e all'estero e del mondo e di cosa somporta essere musicisti indipendenti nel nostro paese. Quindi non mi dilungo oltre e vi do appuntamento alla prossima! [B!]

 


Ciao ragazzi, benvenuti su andergranund! Per cominciare vi va di raccontarci brevemente chi sono The Nuv? Com'è cominciata la storia? Come e quando si sono incrociate le vostre strade?

Ciao a voi e soprattutto grazie dello spot che ci date. La storia ebbe inizio circa 14 anni fa e non è diversa da molte altre: ascolti la traccia #1 di Nevermind e boom! Non tutti avevano un computer e non esistevano gli smart phone e quindi c’erano delle vite da vivere. Le nostre strade si sono incrociate grazie ad amici in comune ed a un paio di annunci sulle bacheche delle sale prove.

So che ve l'avranno già chiesto un milione di volte, allora perchè non fare un milione e uno. Come mai NUV (che sta per New Ultraviolet Vanish)? E in che modo Anthony Burgess, e in particolare il suo "A Clockwork Orange", ha influenzato la vostra musica?

All’origine era semplicemente Vanish poi ad ogni cambio di formazione aggiungevamo una parola fino a diventare The New Ultraviolet Vanish 2 (al quadrato). Fortunatamente un blogger americano recensì un nostro pezzo e ci acronimò The NUV. Con Burgess abbiamo colto quello che per noi è davvero il libero arbitrio. Poi più banalmente c’è una sorta di trasposizione musicale dell’ ultraviolenza.

So che a un certo punto c'è stato un momento di 'crisi artistica'. E poi pare che un periodo di allontanamento consensuale e una trasferta in Canada abbiano contribuito a riaccendere il fuoco sacro dell'arte. Un momento di crisi che è stato terapeutico quindi?

C’è stato più di un momento di crisi e credo che ce ne saranno altri. In passato abbiamo avuto qualche contatto col mondo delle “discografiche” e si può dire che ne siamo usciti un po’ con le ossa rotte. In Canada abbiamo capito di non aver capito un cazzo. Poi vedi come si divertono da quelle parti a suonare… e come suonano! Allora capisci che le crisi devono avere ben altre cause.

Il fatto di cambiare aria e di volare oltreoceano quali nuovi stimoli vi ha regalato? La Brianza a un certo punto ha cominciato a diventare troppo stretta?

In realtà Milano era diventata troppo stretta, con i suoi cliché e le sue mode. La provincia invece e meno pretenziosa ed è humus per la crescita di una scena. A Montreal abbiamo incontrato musicisti incredibili, immensi sia dal lato artistico che da quello umano. Avevamo esaurito l’ispirazione e pensavamo che l’unico modo di ritrovarla sarebbe possibile solo con altri musicisti. Invece sbagliavamo solo il modo in cui ci relazionavamo.

Dopo l'esperienza canadese è stato traumatico il ritorno nel Bel Paese? Per come ho potuto conoscere il mondo underground nel corso degli anni e parlando con un sacco di artisti ho potuto constatare che purtroppo l'Italia non è proprio un paese per giovani band. Per una serie di motivi, economici in primis, e forse anche di mentalità, sia del pubblico che dei media. Probabilmente gli italiani sono meno aperti che altrove a recepire il nuovo. Non so, ditemi la vostra!

Personalmente sogno spesso di essere a Montreal poi mi sveglio e “°?%$£!XXX##@§”… L’Italia non è un Paese per giovani, figuriamoci giovani band. I media trasmettono ciò che il pubblico vuole e il pubblico metabolizza tutto ciò che i media trasmettono. Non se ne viene a capo, no?! Di sicuro in Italia manca la professionalità e l’attitudine all’eccellenza che negli altri Paesi permette di alzare il livello medio. Qui i locali sono mediamente imbarazzanti come i gestori e i promoter. Sui fonici non posso esprimermi perché è difficile giudicare qualcuno che “lavora” con mezzi mediocri. Per quanto riguarda il talento degli artisti credo che non siamo secondi a nessuno. Ma l’ Italia è una nazione di Balotelli: a seconda di come lo si consideri siamo talenti inespressi o sopravvalutati.

La vostra musica difatti guarda molto al mercato estero. Il fatto di comporre esclusivamente in inglese è dovuta principalmente a questo, o è anche perché banalmente, come risaputo, l'italiano non è un lingua che ben si adatta a determinate sonorità. Escludete categoricamente che in futuro possiate provare a cimentarvi anche con qualche testo in italiano?

Non c’è nulla di premeditato, alcune canzoni sono nate in italiano (davvero poche in verità) e … semplicemente facevano cagare. Poi chissà…

Anche per quanto nato riguarda nello specifico i live, probabilmente qui da noi ci sono meno spazi e meno occasioni per far conoscere la propria musica, o forse tante volte sono semplicemente mal sfruttate. Voi che avete suonato parecchio anche fuori dai nostri confini che differenze avete riscontrato?

Prima cosa il trattamento alcoolico: come faccio ad arrivare al locale alle 18 e suonare alle 23 con , quando va bene, 2 consumazioni? Che siamo cammelli? Ad Amburgo ce ne hanno date 10 a testa. A La Louviere (Belgio) open bar. I locali sono dotati di strumentazione di medio alto livello o per lo meno funzionante e i fonici davvero in gamba (vedi quello che dicevo prima). E poi c’è il pubblico: se non ti conoscono ti danno ascolto proprio perché non ti conoscono dandoti la possibilità di colpirli.

Immagino che concorderete con me se dico che il live rimane sempre un incomparabile momento di crescita per un gruppo. Ci sono certi automatismi e certe dinamiche che solo dopo ore passate a calcare le tavole di un palco si affinano veramente. Quant'è importante il momento del confronto diretto col pubblico per crescere come musicisti e come band? Avete esperienze o episodi che ricordate con particolare piacere?

Verissimo, però lo considero secondario alle serate passate al bancone del bar bevendo e parlando di tutto tranne che di musica. Ad Ambugodelle 10 consumazioni a testa che ci diedero, ne utilizzai solo due perché alcuni ragazzi del pubblico insistevano con l’offrire da bere poichè eravamo stati bravi. È molto gratificante come cosa!

Ma veniamo al motivo principale per cui siamo qui, ovvero "The NUV Sucks (no, really)", il vostro secondo album. Caparezza diceva che il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista. Concordate? È stato un parto difficile? Quattro anni di gestazione sono tanti... Cosa rappresenta per voi questo traguardo?

Probabilmente è il più difficile per chi ha successo e deve riuscire a riconfermarsi e far fronte alle esigenze di discografiche e pubblico. Noi dobbiamo render conto solo a noi stessi (a volte forse è peggio) ma zero pressione. In realtà il disco c’ era già da un po’ ma negli ultimi due anni, tra chi si è diplomato, chi ha girato a lungo il Sud America, chi ha aperto una sua attività, siamo stati molto impegnati. Non so se considerarlo un traguardo ma di sicuro il fatto uscire con un nuovo album a 30 passati personalmente mi rende felice e allo stesso tempo mi rattrista perché la maggior parte delle band con le quali siamo cresciuti si son sciolte.

Il disco è uscito già da qualche settimana. Come sta andando? Avrete già avuto parecchi feedback. Siete soddisfatti delle prime reazioni?

La prima tiratura di 100 copie è andata via in soli 3 concerti. Non male direi! Feedback più che positivi, sembra che da metabolizzare sia più facile di quanto pensassimo.

Dal punto di vista del sound rispetto al vostro primo disco “Top Model Super Fashion” mi sembra che vi siate rinnovati parecchio. Ci sono tanti elementi nuovi. Quali sono le differenze principali rispetto al vostro album d'esordio, e quali sono invece gli elementi che segnano una continuità col passato?

In primis la scrittura. In TMSF su 11 brani 10 son stati partoriti da una sola testa. Le nuove canzoni sono lo sforzo di più menti. Il nostro background musicale, per lo più caratterizzato dal grunge e dallo stoner, è fortemente radicato ma son cambiati gli ascolti. Esce davvero poca roba rock interessante mentre le produzioni elettroniche sono al top ed è impossibile rimanere impassibili. Quindi ci è venuto abbastanza naturale mescolare un po’ le cose.

Come nascono concretamente i pezzi? Chi scrive? Qual è l'apporto dei singoli componenti del gruppo per la buona riuscita del disco? Le tematiche affrontate nel disco parlano principalmente di quotidianità, sono estratti di vita in cui in parecchi di noi si possono ritrovare. Da cosa prendete spunto per di più quando scrivete? Da fatti personali e vicende vissute in prima persona o dall'osservazione del mondo che vi circonda? 

Prevalentemente scriviamo io (Demis) e Leonardo ma tutto può partire da un giro di basso o da un fill di batteria. Lo spunto può essere un libro, un “pazzo” con un nome assurdo che incontri in un centro sociale a Berlino oppure una chitarra di merda. Vanno molto di moda i concept album, noi non abbiamo nulla di concettuale. Ci piace l’irriverenza, il sarcasmo e non ci prendiamo sul serio e questo credo influisca molto nella scrittura sia della musica che dei testi. Per la buona riuscita di un disco è fondamentale che ognuno dia il massimo e che chieda il massimo agli altri senza essere supponenti. L’ unica cosa certa è che se non c’è qualcuno che pensa alle scorte di alcool i dischi vengono di merda. Ho usato due volte la parola merda. Con questa fanno tre.

Com’è nata la vostra collaborazione con Moquette Records? Come ci trovate a lavorare con loro?

Moquette Records è l'unione di diverse band che collaborano e si sostengono le une con le altre e la passione per la musica è il punto fondamentale di questo progetto.
Ci sentiamo come in famiglia.
La collaborazione è nata ad un nostro concerto a La Nocc di Sondalo (SO), abbiamo condiviso il palco con i Push Button Gently che ci hanno aperto le porte della Moquette!

Avete in programma di portare in giro dal vivo i pezzi del nuovo disco? Ci sono già delle date? Altri progetti a breve e lungo termine?

Abbiamo già fatto qualche concerto e ora faremo un mini tour in Belgio. Stiamo definendo la realizzazione di un paio di video e collaboreremo nuovamente con Beat Machine per la realizzazione del remix in chiave totalmente elettronica di “ The NUV Sucks (no, really).

Ragazzi, è tutto. Grazie mille del tempo che ci avete dedicato e in bocca al lupo per tutto!

Grazie a voi e che i lupi non crepino. Sosteniamo il WWF!

 

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